Marchizza: dalla Roma all’Avellino ma la musica è la stessa

Una musica può fare…”, cambiare l’umore di Marchizza. Sembra la strofa di una canzone, e in realtà in parte lo è. Ma certe note sono più che adatte per raccontare la vita del difensore dell’Avellino in prestito dal Sassuolo. Riccardo Marchizza non ha ancora vent’anni ma può dire di aver vinto già uno scudetto (Primavera) e un bronzo ai Mondiali Under 20 indossando la maglia della Nazionale. “Quella resterà un’esperienza unica. Ero in camera con Vido e Dimarco e la sera prima della partita contro la Francia erano conviti di andare a casa. Io gli ho detto che avremmo vinto e alla fine ho avuto ragione io”.

Un’esperienza che si è portato dietro anche per questa stagione con l’Avellino, dove aspetta di esordire al Partenio davanti a un pubblico che lo ha già colpito per il calore e l’affetto. “Ogni settimana è uno spettacolo entrare in questo stadio”. Per farlo al meglio, allora, si prepara ascoltando la sua playlist preferita, fatta ad hoc per le partite. Sfoglia un attimo le cartelle del suo cellulare e fa partire le note – eccole che ritornano – di Gianna Nannini. “La canzone si chiama ‘Fenomenale’ e insieme con il mio amico Paghera abbiamo anche suggerito a uno dei giudici di X Facror, Levante, di farla cantare a uno dei suoi allievi. Ovviamente non ci ha risposto, ma è stato divertente lo stesso”.

Paghera è il suo vicino nello spogliatoio e l’amico più caro all’Avellino. “Stiamo spesso insieme, soprattutto nel tempo libero”. Quello che trascorre sempre in compagnia della sua fidanzata. “Con Giorgia stiamo insieme da tre anni. L’ho conquistata invitandola a vedere una mia partita quando ero nella Primavera della Roma”, aggiunge con un sorriso. “E’ una ragazza speciale perché ha imparato a capire i miei momenti sì e i miei momenti no. Quando ci invitano a cene o feste nei giorni delle partite, sa già che non deve mai confermare la nostra presenza perché il mio umore può cambiare tantissimo in base all’andamento della gara”. Ai tempi della Roma Riccardo era lo specialista dal dischetto. “Ho segnato 10 rigori su 11 calciati. Ho sbagliato solo quello nella finale Scudetto. Ma per fortuna abbiamo vinto lo stesso”, questo perché da piccolino giocava in attacco e si dice che in un torneo di calcetto abbia segnato 30 gol in 5 partite.  “La Roma mi ha notato perché avevo segnato tanto, poi l’allenatore mi ha spostato in difesa”.

Calcio e musica sono gli argomenti preferiti della conversazioni tra Marchizza e Paghera, ma nel tempo libero Riccardo si concede anche qualche scambio a tennis con il papà. “Mi batte sempre o quasi. Riesco a vincere solo quando la partita va per le lunghe e io ho la meglio perché sono più giovane e allenato”. Ma lo sport è un vizio di famiglia. “Mio fratello Filippo è del 2001 e gioca nelle giovanili del Frosinone. Praticamente è la mia fotocopia: stesso ruolo – difensore – stesso piede – mancino – e anche stesso stile di gioco. Quando posso vado sempre a veder le sue partite e parliamo tanto”.

Da Avellino a Roma sono poche ore di auto e Riccardo preferisce sempre fare su e giù per stare vicino alla sua famiglia. Quando non ci riesce c’è Giorgia che lo viene a trovare e si trasferisce a casa sua. Per stare insieme, guardare un film, staccare la spina e ascoltare ovviamente un po’ di buona musica.

Tra calcio e basket, la scelta di “Holly” Rossi

Il dubbio era tra un palleggio-arresto-tiro dalla lunetta e un dribbling sul limite dell’area di rigore. “Ma con questi piedi che mi ritrovo, forse vado meglio a canestro”, ride Alessandro Rossi (21 anni da compiere a gennaio) che ricorda ancora di quando la sua vita sportiva era a un bivio: basket o calcio. “In realtà da piccolo ho giocato anche a rugby che era lo sport che piaceva a mio padre”. Eppure oggi è uno degli attaccanti più promettenti che ci sono in Italia. “A calcio ho iniziato a giocare a 9-10 anni”. E addirittura nella stessa settimana ha sostenuto sia un provino con una squadra di pallacanestro (la “Tiber Basket”) che con la Lazio. “Poi ha prevalso la passione per il calcio e la mia voglia di diventare l’attaccante titolare della squadra per la quale faccio il tifo”.

Il basket, però, fa parte del dna di Sandro – così come lo chiamano tutti nella sua Viterbo – anche per merito di una mamma (Angela) che ha giocato in serie A e di un nonno (Settimio) che addirittura ha indossato la maglia della Nazionale. “Rappresentano per me due punti di riferimento unici. Anzi, rimpiango di non aver dedicato abbastanza tempo a mio nonno prima che ci lasciasse. Solo ora mi rendo conto che avrei dovuto mettere da parte le cavolate che si fanno da ragazzo per essere più presente nella sua vita”. Sì, perché la famiglia è un punto centrale della vita di Sandro.

Siamo in 7”. Come? “Mamma, papà, i miei due fratelli e…i due cani”. A proposito di famiglia, Elena Sofia è la sua sorella gemella, non solo dal punto di vista della data di nascita. “Abbiamo sempre fatto lo stesso sport: io giocavo a basket e lei giocava a basket con me, io giocavo a calcio e lei giocava a calcio con me. Praticamente abbiamo sempre fatto tutto insieme”.

Sono talmente legati che lei e sua mamma non si perdono quasi mai le partite di Sandro dal vivo. Ed erano sugli spalti dell’Arechi quando lui ha segnato la sua prima rete (e la sua prima doppietta) tra i professionisti. “Un’emozione unica. E alla fine della partita il mio primo pensiero è stato quello di condividere con loro il momento”. Uno dei due gol è stato definito alla “Holly e Benj”, una definizione davvero perfetta. “Da bambino ero appassionatissimo di quel cartone giapponese e quando sono partito per venire a Salerno mi sono portato dietro una statuetta di Holly con la speranza che portasse fortuna”. La conserva a casa perché gli ricorda Simone Inzaghi. “Ai tempi della Primavera della Lazio mi diceva che io ero come Holly”. Oggi è alla sua prima esperienza lontano da casa. “Praticamente qui sto imparando a fare tutto da solo, ma ho fatto questo scelta anche per mettermi alla prova. Era venuto il momento di crescere”.

Nella sua Viterbo torna raramente. Un po’ perché la famiglia lo va a trovare molto spesso e un po’ perché c’è Alice che lo aspetta a Bologna. “Ci siamo fidanzati un annetto fa ed è la mia forza. Mi aiuta nei momenti più difficili e siamo legatissimi”. Quelle con lei sono le uniche foto che ci sono in casa, piccoli ricordi nel suo piccolo mondo tutto nuovo. Immancabili i joystick della Play Station, qualche gioco da tavola e tanti libri. “Mi piace leggere. Qualche tempo fa ero affascinato dalla scrittura di Coehlo, mentre adesso mi sono appassionato molto ai gialli sia italiani che francesi”. In cucina prova a migliorare ogni giorno grazie alle lezioni telematiche di Alice, “quando mi metto ai fornelli la chiamo su FaceTime e lei mi dà i consigli giusti per preparare le varie ricette”.

E poi c’è la Salernitana, la sua nuova famiglia. “Mi hanno accolto alla grande. Tutti qui mi danno consigli e per me è una grande opportunità. Vengo dalla Primavera della Lazio e sono il più piccolo, avere tanti compagni come Rosina, Perico, Tuia e tutti i più anziani è un’occasione unica”. Anche perché nello spogliatoio si tira anche un po’ a canestro. “Quasi ogni giorno sono immancabili le sfide con Della Rocca”. Per non perdere le abitudini di una volta, per ricordare il nonno Settimio e tenere fede a quel dna che mamma Angela gli ha trasmesso con tanto amore.