B Marzio fa tappa a Monteboro: la fabbrica dei talenti dell’Empoli

Nel centro sportivo di Monteboro ci sono tre edifici e almeno 5 campi da calcio. Ma non si vede il pozzo miracoloso. La fonte dalla quale evidentemente viene fuori dell’acqua dai poteri magici grazie alla quale l’Empoli è riuscito a far crescere i ragazzi di un settore giovanile che non finisce mai di sfornare talenti.

Qui si cresce come a casa propria”, musica e parole sono di Alessandro Piu, attaccante dell’Empoli che a Monteboro per la prima volta ci ha messo piede a 13 anni. “Non è mai facile lasciare la famiglia ma a Empoli  mi hanno accolto alla grande. Ho vissuto nel convitto con gli altri ragazzi del settore giovanile, avevamo anche un tutor che ci seguiva negli studi ed infatti io mi sono anche diplomato qui”. Parla e cammina, ripercorrendo quelli che sono stati i primi passi della sua gioventù a Monteboro. “Quando sono diventato maggiorenne ho preso casa a Empoli ma questi luoghi mi riportano sempre tanta allegria e momenti indimenticabili”. Durante la passeggiata per l’hotel dove Alessandro “è diventato grande”, ci sono i ragazzi del settore giovanile di oggi. Studiano via Skype con i compagni e i professori, consumano il pranzo e si preparano per l’allenamento del pomeriggio.

Osserva con sguardo molto interessato Ismael Bennacer. Anche lui ha appena 20 anni ma ad Empoli è arrivato all’inizio di questa stagione. Lui, nato in Francia da mamma algerina e papà marocchino,  il settore giovanile lo ha fatto in Inghilterra, all’Arsenal, ma le strutture del centro di Monteboro lo affascinano molto perché non sono poi così differenti da quelle dove è cresciuto: “si vede che qui c’è grossa attenzione per i giovani”.

A soli 20 anni ha già una storia da adulto: “sono sposato da 3 anni e prima del matrimonio sono stato fidanzato per altri tre”. Alessandro Piu sorride: “io non potrei mai essere sposato. Lo invidio perché ha davvero un bel coraggio”. Scherzano insieme. Perché anche questo è sintomo di aggregazione e integrazione. “Per la sua cultura – spiega Alessandro – sposarsi così giovani è la normalità. Lo rispetto e lo ammiro”. E poi Ismael racconta. “In ritiro di solito dormo in camera da solo, così quando mi sveglio la mattina presto per pregare non do fastidio al mio eventuale compagno”. Ma Alessandro controbatte: “ma non è vero dai. Io con te ci ho dormito una volta e non mi sono accorto di nulla. Sei un ragazzo molto rispettoso degli altri”.

La passeggiata procede. Dall’hotel dove l’Empoli (dei grandi) va in ritiro prima delle partite di campionato al campo dove Alessandro ha giocato le sue prime partite e ha segnato i suoi primi gol. “E’ bellissimo”, esclama Bennacer. “E non sai che soddisfazione quando noi della Primavera giocavamo di domenica mattina e quelli della prima squadra si mettevano a bordo campo a guardarci. Per noi era uno sprone a fare sempre meglio”, replica Alessandro.

E’ il primo anno che giocano insieme, ma è come se si conoscessero da una vita. Ismael sta imparando l’italiano, ma si fa capire alla grande. “Nello spogliatoio si è integrato subito e poi è talmente forte in campo e in allenamento che in pochi giorni era già un leader”. Come a tavola. “Riso a volontà, ma anche uova all’occhio di bue. Sono stati i miei compagni a insegnarmi che si dice così ed ora lo chiedo sempre quando siamo a pranzo”. Aggiunge Ismael con una risata.

Entrambi sono tipi casalinghi. “Al massimo una partita alla Play – racconta Alessandro – ma contro Ismael è meglio non giocare. E’ troppo forte”. Ridono entrambi. “Ho scelto la maglia numero 10 perché è il giorno della data di nascita di mia sorella, e poi il mio idolo è Ronaldinho”, spiega Bennacer. “Con la mia famiglia ho un rapporto molto stretto. Quando possono vengono in macchina dalla Francia per seguire le mie partite, anche perché io difficilmente riesco ad andare a trovarli lì”. La famiglia di Alessandro, invece è a Gonars in Friuli e lo segue praticamente ovunque: “la prima volta che sono stato convocato in prima squadra, hanno seguito la partita al bar della città. Il mio è un piccolo centro, si conoscono tutti e quello è stato un giorno indimenticabile”.

Come l’esperienza a Monteboro: la fabbrica di talenti fatti in casa dall’Empoli.

Dal Senegal a Cesena con tappa a Pescara: Coulibaly e Valzania con B Marzio

Gli opposti si attraggono. Le leggi della fisica difficilmente sbagliano. Succede anche in campo, e succede sopratutto nel centrocampo del Pescara. Lì, infatti, si sono trovati Luca Valzania e Mamadou Coulibaly. Arrivano dai poli opposti: il primo da Cesena, due ore di auto e famiglia a portata di mano, il secondo da Senegal, ore ed ore di volo e mamma e papà che non vede da tre anni.

In Italia Mamadou è arrivato dopo uno “scalo tecnico” in Francia. “Quando sono scappato dal Senegal ho fatto un viaggio lunghissimo”. Prima il Marocco, poi tutte speranze in un barcone diretto in Francia. “Lì sono stato accolto da mia zia che dopo un anno mi ha cacciato. E io da quel momento non ho voluto più avere contatti con lei, anche se quando poi sono diventato un calciatore ha provato a chiamarmi”. Il legame, quello forte ed inossidabile, è con il papà: “ci sentiamo sempre dopo le partite, e quando posso gli mando i miei video, visto che lui è in Senegal e non ha modo di seguirmi in tv”. Al Pescara è arrivato dopo essere stato accolto in una casa famiglia a Roseto: “il primo giorno di allenamento ero con la Primavera. Dopo la doccia mi ha fermato Oddo e mi ha detto di cambiarmi di nuovo perché avrei dovuto fare anche la seduta con la prima squadra. E’ stato un po’ faticoso, lo ammetto, ma anche una grande soddisfazione”.

Decisamente meno faticosa la trafila di Luca Valzania: “i miei genitori mi seguono sempre. Anzi, alle volte sono fin troppo presenti”, aggiunge con un sorriso. “Essermi allontanato da casa mi sta facendo bene e mi aiuta nel percorso di crescita”. Per tenersi ancora un po’ bambino, però, non ha perso la sua grande passione per le serie tv legate ai personaggi dei fumetti: “fin da piccolo ne sono stato appassionato perché anche con gli amici era una vera e propria fissa”. E guardando Mamadou al suo fianco gli viene anche da fare un paragone: “a giudicare dai suoi poteri in campo e dalla sua grande forza fisica, direi che mi ricorda Luke Cage, il personaggio dei fumetti diventato celebre per essere quasi del tutto invulnerabile“.

In campo si compensano, alla fisicità di Mamadou si aggiunge l’estro di Luca: i poli opposti che si attraggono. Anche in ambito sentimentale. “Il numero 14 che porto sulla maglia è legato alla data di nascita della mia ragazza – spiega Valzania – mi porta fortuna, lei è contenta e non mi mette troppe pressioni”. Non esattamente lo stesso pensiero del suo compagno di squadra e di reparto. “Anche io sono fidanzato, ma l’unica donna della mia vita è mia mamma e lo sarà per sempre. Anche in caso di gol lo dedicherei certamente a lei”.

Dopo tre anni in Italia, Coulibaly – con la C e non la K perché a differenza del difensore del Napoli, lui è di origini Malesi – parla un italiano praticamente perfetto: “merito delle persone che mi circondano. Se mi fossi fermato solo con i senegalesi, ora non saprei una sola parola. Invece stando in mezzo a tanti italiani, ho imparato subito”. A casa guarda la tv e sopratutto il calcio: “quello inglese mi piace moltissimo, ed i miei idoli sono Yaya Tourè e Obi Mikel. Se sono scappato dal Senegal è stato sopratutto per la mia grande passione per il calcio. Mio padre voleva che studiassi ma a me la scuola non è mai piaciuta: volevo solo giocare a pallone”. Luca – diplomato in ragioneria – ha invece avuto un’infanzia divisa tra due grandi passioni: “ho iniziato a giocare a calcio fin da piccolo perché avevo un campetto proprio dietro casa ma il mio primo sport è stato il nuoto. A lungo sono stato indeciso sulla scelta, ma alla fine ora sono contento di quello che ho fatto”. “E hai fatto bene – gli replica subito Mamadou – perché il calcio è molto più bello. E tu sei anche fortissimo. Molto più forte di me”, aggiunge ancora con una risata.

In campo si intendono a meraviglia, e nonostante abbiano storie molto diverse, si intendono anche fuori. E’ proprio vero allora: gli opposti si attraggono.

Dal ballo al calcio: B Marzio è con Castrovilli

Quindi ti possiamo chiamare #CastroBilly?”. Gaetano Castrovilli sorride e annuisce. Lui il film del 2000 lo conosce bene. E in quel personaggio si rivede eccome. Perché da piccolo anche Gaetano voleva fare il ballerino, e a dirla tutta ce l’ha anche fatta. “Per un anno ho fatto danza classica, poi ho mollato”. E ride. “Perché ero l’unico maschietto in una classe tutta al femminile”. Ok, lasciare il corso professionistic, ma la passione per la danza e per la musica è rimasta. “Anche adesso appena sento un po’ di musica inizio a ballare. Soprattutto se si tratta di reggeaton e balli di gruppo latino americani”. Intanto però la sua sua vita ha preso una strada diversa ed il calcio ha preso il sopravvento.

Tutto  merito di mio nonno – spiega – perché lui era un grande tifoso del Bari e quando è morto ho deciso di iscrivermi a scuola calcio”. Aveva nove anni Gaetano (che si chiama proprio come il nonno che non c’è più) e dopo due mesi ha fatto – e superato – il provino con il Bari. “Mi sono presentato lì con la maglia del Barcellona di Ronaldinho. Mi guardavano tutti strano, ma dopo che mi hanno preso si sono ricreduti. Pensavano volessi fare il fenomeno”. Da casa sua, Minervino Murge (in provincia di Andria) a Bari era un bel viaggio. “Quasi 200 chilometri tra andata e ritorno che facevo ogni giorno in auto con mio zio Nimbo. E’ anche merito suo se adesso sono diventato un calciatore professionista”. Sono legatissimi, come lo era con il nonno Gaetano e come lo è con la mamma. “Se non ci sentiamo almeno 5 volte al giorno non è contenta”. Dici poco ma da quando Gaetano si è trasferito a Cremona il loro legame si è rafforzato ancora di più: “questa esperienza lontano da casa mi sta aiutando a crescere. Mi sento una persona migliore e più matura”.

Ha già segnato il primo gol con la maglia della Cremonese, all’esordio casalingo contro l’Avellino, ma il suo sogno è quello di poter festeggiare sotto la curva dei tifosi storici dello Zini: “ci spingono tantissimo e mi piacerebbe dedicare loro qualche passo di danza”. Anche perché il calcio e il ballo non sono poi così distanti. “Molto spesso mi capita di pensare a una finta, a un dribbling o a una giocata e paragonarla ad un passo di danza. Mi viene più naturale”.

Naturale, certo, come scherzare con il magazziniere della squadra che proprio Gaetano ha soprannominato Tati: “quando sono arrivato è stato lui a farmi trovare la maglia al mio posto e abbiamo legato tantissimo”. Scherzano anche adesso mentre alle sue spalle si vede la sua numero 6: “ho sempre vestito la 10 e il mio sogno è quello di poterla indossare anche tra i professionisti, ma per ora devo lavorare e pensare a migliorare con la 6 dietro le spalle”. Con la Cremonese, ovviamente, ma anche con la Nazionale. “Quando ho esordito con l’Under 20 ho segnato subito una doppietta: è stata un’emozione unica. Qualcosa di indescrivibile. Il giorno in cui ho ricevuto la chiamata l’ho subito detto a mia mamma che è stata addirittura più felice di me”.

E ora? Gioca, segna e balla: come non potrebbe Gaetano Castrovilli? Ma d’ora in poi chiamatelo pure #CastroBilly.

Bosnia e Italia unite dal calcio: Saric racconta Carpi a B Marzio

L’accento perfettamente italiano potrebbe farci cadere in un clamoroso errore. Dario Saric, infatti, è nato in Italia, ma le sue origini sono bosniache, e lui di queste origini ne va particolarmente fiero. Merito di una famiglia che gli ha saputo trasmettere valori solidi, anzi solidissimi. Ha un più di un idolo nel mondo del calcio, ma il suo unico eroe è suo padre. “Lo considero una persona speciale. Siamo legatissimi”, ed è proprio per “merito” di suo padre se Dario è nato in Italia (in provincia di Ferrara) 21 anni fa. “Insieme con mia mamma sono scappati dalla guerra perché lui era stato gravemente ferito e aveva bisogno di cure all’avanguardia che solo in Italia potevano offrigli”. Da lì è iniziata anche la storia di Dario e di suo fratello più grande, entrambi nati nel nostro paese. “La mia famiglia è originaria di Sarajevo e in Bosnia ci sono tornato quando ero piccolo per le vacanze estive. Poi mi è capitato di andarci anche a giocare con la Nazionale”. Fino ad ora lo ha fatto sempre con quella della Bosnia, ma qualora dovesse arrivare una chiamata da parte dell’Italia non gli dispiacerebbe affatto. “Sono nato e cresciuto qui, l’Italia è il mio Paese”. Calcisticamente, invece, è cresciuto nel Carpi, una società che lo ha portato a giocare nei professionisti. “Praticamente qui mi sento a casa. Ho vissuto per 4 anni in convitto insieme agli altri ragazzi del settore giovanile e ogni settimana eravamo qui al Cabassi a seguire le partite della prima squadra. Questo stadio ci sembrava un sogno, e adesso che in mezzo al campo ci sono io mi sembra davvero tutto bellissimo”.

Inutile dire che ospiti fissi in tribuna ci sono mamma e papà. “Non se ne perdono una, sono i miei primi tifosi. Anche perché non abitano troppo lontano da Carpi e quindi per loro venire il sabato allo stadio è una passeggiata”. A proposito di distanze e di passeggiate, Dario ne fa una fissa tutti i giorni. “Quest’anno ho preso casa in centro, ma per andare allo stadio per l’allenamento o la partita ci metto un attimo. Ci vado a piedi o al massimo in bici. L’ho portata qui apposta per fare una pedalata ogni tanto”.

E’ un ragazzo casalingo (con la passione per la cucina), ma non per questo è timido, anzi. “Mi piace molto confrontarmi con i compagni e ricevere i consigli da quelli più grandi. Qui ci sono Mbakogu e Poli che mi stanno molto vicino e mi seguono passo passo per farmi crescere sempre di più”. Nonostante la giovanissima età ha già collezionato 17 presenze in questo campionato diventando quasi un punto fisso nella squadra.

Eppure, digitando su google la prima cosa che viene fuori è Dario Saric, giocatore croato di pallacanestro. “Lo so – ammette con un sorriso – ed è anche molto forte. Lo seguo spesso, anche perché sono molto appassionato di NBA, e ammetto che mi piacerebbe anche conoscerlo. Chissà, magari un giorno potremo scambiarci le maglie: io intanto lo invito ufficialmente qui al Cabassi per seguire una gara del Carpi”. Un posto in tribuna lo troverà sicuro, magari accanto alla mamma e al papà di Dario, felici di festeggiare insieme ad un altro gigante che si chiama proprio come quel figlio che mette la famiglia sul gradino più alto del podio della sua vita.

Pizza, piadina e cappelletti: Dalmonte e Panico raccontano Cesena

Il biondo e il bruno. Peppe Panico e Nicola Dalmonte si presentano così. Se l’aspetto è diametralmente opposto, la simpatia è un minimo comune denominatore inconfondibile. Scoprire qualcosa in più della loro vita extra calcistica è un susseguirsi di risate, battute e grande allegria. Si prendono in giro quel giusto che non guasta, ma hanno anche quel pizzico di autoironia che rende il mix davvero irresistibile. Come quando Peppe racconta delle sue vacanze. “Non ho mai fatto un viaggio da solo, ma mi piacerebbe andare a Mykonos e Ibiza: due posti decisamente interessanti dal punto di vista culturale”. Ridono insieme, e allora Nicola aggiunge. “Per questa sosta di campionato sono stato qualche giorno in montagna con la mia fidanzata, e tu?”, Peppe subito replica: “Al Pineta”. Poi ci pensa: “E’ un museo di Milano Marittima”. E la risata a questo punto è generale.

Sono due anni oramai che giocano insieme e praticamente hanno anche lo stesso ruolo: entrambi esterni d’attacco, ma la rivalità – nonostante la giovane età – è una cosa che non conoscono. “In questo stadio ho fatto gol proprio su assist di Peppe”, spiega Nicola. “Mentre io qui ancor non ho segnato ma spero di farlo prima possibile”. Sì, anche perché se il compagno non ha un’esultanza particolare, Peppe Panico vorrebbe riportarsi la mano alla fronte con il gesto del saluto militare come ha fatto, ad esempio, contro la Francia nel corso dell’ultimo mondiale Under 20 che l’ha visto tra i protagonisti con la maglia dell’Italia. “Un’esperienza indimenticabile, perché indossare quei colori è qualcosa di unico. Poi avevo ancora il dente avvelenato con la Francia che ci aveva battuto all’Europeo l’anno prima”.

Mentre passeggiano per il prato dello stadio di Cesena ci sono 4 ragazzini del settore giovanile che li osservano. Li hanno riconosciuti, anche se su Panico hanno qualche dubbio. “Forse perché non sono abituati a vedermi con gli occhiali”, spiega l’attaccante. “Eh no, così non ti scambiano per Ciro Immobile”, aggiunte Dalmonte. “La somiglianza fisica c’è tutta, e anche in campo il ruolo non è poi così diverso, anche se Immobile segna di più e gioca più al centro dell’attacco”. Peppe racconta anche del suo incontro con il bomber della Lazio. “Prima al Genoa dove sono cresciuto come settore giovanile e poi in Nazionale, mi è capitato di vederlo. Gli ho anche chiesto una foto e gli ho raccontato degli sfottò dei compagni che mi dicevano di essere uguale a lui. Ecco perché qualche mese dopo, durante uno stage della Nazionale, ha chiesto a un amico comune se ci stava pure quello “che mi somiglia”. E’ stato un episodio davvero divertente”.

Dal campo alla lavanderia dello stadio dove Debora, la lavandaia storica del Cesena, li mette subito ai lavori forzati. “Vediamo se sanno piegare i vestiti, oramai sono grandi, vivono da soli e certe cose devono impararle”, spiega con un sorriso. I due si danno da fare e scherzano con Debora: “meglio che la non le diamo una mano, altrimenti facciamo solo disastri”.

Fuori dal campo, poi, Panico ha anche un’altra grande passione. “Mi piace molto la pesca. Quella nei laghetti artificiali”. Ma Nicola non lo ha mai accompagnato. “Lo capisco – aggiunge Peppe – perché magari può essere noioso stare lì due ore senza tirare su nulla. Ecco perché di solito vado con i miei amici vicino casa”. A proposito, se per Peppe la famiglia è lontana – le sue sono origini campane trapiantante nel basso Lazio – per Nicola la musica è tutt’altra. “Vivo vicino Ravenna, quindi a pochissimi chilometri da Cesena. Infatti ogni giorno dopo l’allenamento torno sempre a casa”. Inutile dire che i suoi genitori sono sempre presenti allo stadio “in casa e in trasferta”, ci tiene a precisare. “Ma anche mio padre mi segue sempre”, spiega Peppe. “Salvo le trasferte più lontane da casa, non se ne perde una”.

Intanto squilla il telefono. E’ arrivato un messaggio sulla chat Whatsapp di squadra. Peppe e Nicola hanno mandato una loro foto durante l’intervista. I commenti – molti dei quali irripetibili – sono tanti. Vedere per credere…

Baldini dalla bici al pallone: B Marzio è ad Ascoli

Tutta colpa di una ruota bucata. Ma certe volte non tutti i mali vengono per nuocere. Sì, perché il futuro di Enrico Baldini sarebbe stato nel ciclismo. D’altra parte suo padre il ciclista lo faceva per davvero, ma per far divertire i suoi due figli aveva anche un grosso campo di calcetto nel giardino di casa. “Non si poteva certo giocare 11 contro 11, ma c’erano le porte e così ho iniziato a tirare i primi calci al pallone. E poi è stato calcio tutta la vita”. Enrico lo racconta con un sorriso sornione, quello di chi sa bene che alle volte il destino è scritto fin dal principio.

Da casa è andato via quando era poco più che un bambino, per andare nelle giovanili dell’Inter. “Il primo anno a Milano è stato durissimo perché sentivo molto la mancanza di casa e della mia famiglia”, ma per fortuna c’era il calcio, la passione della sua vita, quella che ancora oggi lo accompagna e che lo ha portato a diventare un calciatore professionista. Da due anni è di proprietà dell’Ascoli e la sua carriera è tutta nel segno del 24 settembre. “In quella data nel 2016 ho fatto il mio esordio in B, e il 24 settembre del 2017 ho realizzato il mio primo gol tra i professionisti”, ma il giorno non è l’unico comune denominatore. “Sia quest’anno che l’anno scorso, la nostra avversaria era il Cesena”.

A 21 anni oramai Enrico ha imparato a vivere da solo “anche se mio padre viene a trovarmi quasi tutte le settimane”, e il suo “piatto” preferito è il tiramisù della mamma. “Come lo fa lei non lo fa nessuno: credo che l’ingrediente segreto sia l’amore che ci mette. Me lo spedisce quando può, io lo conservo in freezer e all’occorrenza lo tiro fuori”. Per il resto dei pasti, poi, ci pensa Filippo Florio, suo compagno di squadra. “E’ specializzato nel risotto ed è il mio cuoco di fiducia. Praticamente mi prepara da mangiare ogni giorno”. E non c’è da stupirsi perché Ascoli per Enrico è diventata una seconda famiglia: scherza con il magazziniere, prepara il caffè ai compagni nel centro sportivo del Picchio Village e ha perfino un saluto tutto personale con il match analist, una sorta di rito fisso che compiono all’inizio di ogni giornata di lavoro.

Ma oltre al calcio c’è di più. “Mi piacciono il basket e il tennis. Roger Federer è uno dei miei grandi idoli, mentre per la pallacanestro seguo molto l’Nba, ma non ho un giocatore o una squadra di riferimento: mi piace guardare le partite in tv, sono un vero spettacolo”. E poi ci sono i viaggi. “La meta dei sogni è rappresentata dalle Maldive, perché mi piace la vacanza in totale relax. Non ci sono ancora stato, ma ho già in mente di andarci quanto prima. Nell’ultimo anno ho fatto un po’ di mare tra Sardegna e Fuerteventura. E poi a casa, perché lì non può mai mancare un po’ di riposo”. A Massa, nella sua Toscana, dove ogni estate viene sempre richiamato dagli amici storici per infinite partite di calcetto sulla spiaggia. La bicicletta è oramai solo un lontano ricordo, come quella ruota bucata che non lo ha rallentato, anzi.

 

Mazzocchi, un cuore a metà fra Parma e Barra

L’odore del forno per le pizze è la traccia da seguire per arrivare al tavolo dove è seduto Pasquale Mazzocchi, terzino del Parma classe 1995. Vive lontano da casa da quasi 10 anni, ma il sangue napoletano – lui è originario di Barra –  non ha perso neanche un pizzico della sua veracità. “La pizza qui la fanno buona, anche se siamo a Parma

La pizza entra nel forno e noi entriamo nella storia di Pasquale Mazzocchi. “Vengo da un quartiere difficile di Napoli. Onestamente posso dire che il calcio mi ha aiutato a uscire dalla strada. Non so dire che cosa sarebbe stato di me se non avessi intrapreso questa carriera. Ecco perché devo molto ai miei genitori che mi hanno sempre sostenuto, ed è per questo che dedico a loro tutti i traguardi che raggiungo”. Loro vivono ancora a Napoli, ma quando possono vanno a trovare Pasquale a Parma, mentre per lui è molto più facile vedersi con la sorella. “Lei vive e lavora a Rimini. Praticamente ci vediamo sempre: o vado io da lei o è lei a venire a trovarmi”. Una famiglia unita che vive di pane e pallone. “Gioco a calcio da quando ero piccolissimo e mia sorella è diventata una grande esperta seguendo me e le mie partite”. 

Ma se per le donne “oltre le gambe c’è di più”, per Pasquale si può dire lo stesso per il calcio. “Il cinema mi piace tantissimo. Sono un grande appassionato di film d’azione americani. Il mio film preferito è Shutter Island, mentre come attori mi piacciono Morgan Freeman, Denzel Washington e Liam Neeson”. E non è tutto. “In realtà la cosa che più mi piace è la musica. In particolare quella neomelodica. Canto dalla mattina alla sera e i miei compagni di squadra mi prendono sempre in giro. Cantanti preferiti? Anthony, Tony Colombo, Rosario Miraggio Alessio…” e potrebbe continuare, ma il momento della canzone preferita. “ ‘Niscun’ mai’ di Anthony. La canto sempre alla mia ragazza e non posso negare che l’ho conquistata anche con la mia voce”. Davvero? “Ci siamo conosciuti 5 anni fa in un movimento giovanile domenicano e io lì cantavo sempre. Lei si è appassionata alla mia voce e poi a me”. 

Intanto a tavola è arrivata la pizza che Pasquale osserva con un pizzico di invidia. “Per me oggi pasta in bianco perché c’è allenamento. Però mangiala tu che è ottima”, aggiunge con quel sorriso contagioso che lo caratterizza. 

Tra una forchettata e l’altra il racconto continua. “Molto spesso sento la nostalgia di Napoli e del mio quartiere anche perché a Barra ogni anno c’è la Festa dei Gigli che è una vera e propria attrazione. Durante tutto l’anno vengono costruite delle strutture in legno altissime sulle quali si canta e si balla per tutta la giornata. Quella della Festa dei Gigli è una giornata memorabile per tutto il quartiere e io la ricordo sempre con grande affetto e simpatia”. I ricordi sono importanti nella vita di Pasquale. “E’ per questo che ho tanti tatuaggi. Ognuno è legato a un momento particolare della mia vita”. Ma ce n’è uno un particolare al quale tiene più degli altri. “Qui sul cuore ho il volto di un mio amico d’infanzia che se ne è andato a 9 anni. L’ho fatto da poco, ma era molto tempo che lo programmavo perché per me ha un valore inestimabile”. 

Il cuore – e anche la pancia – adesso sono pieni per davvero, e non distante dalla pizzeria “Tramonti 2” c’è il centro sportivo di Collecchio, che poi è anche la casa di Pasquale Mazzocchi. “Vivo qui nel dormitorio con altri ragazzi della prima squadra e tanti altri del settore giovanile. Ho la mia stanza e le mie cose. Sto benissimo. Oramai siamo una piccola famiglia perché dopo due anni ci conosciamo tutti”. In due anni ha collezionato altrettante promozioni: dalla serie D alla serie B. Il sogno è quello di tutti ma Pasquale da buon napoletano scaramantico non lo dice neanche sotto voce. “Preferisco far parlare il campo, che è la cosa più giusta”. Lui che ha come idolo Cristiano Ronaldo – e porta anche il suo numero 7 dietro le spalle – ma dopo essere partito da esterno alto adesso fa – con ottimi risultati – il terzino. “Mi sono adattato alla grande anche un po’ più indietro, anche se il dribbling e il gol mi piacciono sempre”. Come la pizza, che non ha mangiato oggi per tenersi in forma. Ma con una storia come la sua può permettersi di avere anche la pancia vuota, perché il cuore, quello sì, sarà sempre gonfio e pieno di emozioni. 

Volpe e le tre F: B Marzio è a Frosinone

Ferentino, Formello e Frosinone. Trova l’intruso. Ma in realtà l’intruso non c’è. Perché queste sono le tre F della storia di Michele Volpe. L’attaccante nato e cresciuto nel beneventano, in realtà potrebbe addirittura calare il poker aggiungendo alla lista la F di Fondi. “Giocavo lì quando il direttore Salvini mi ha portato qui a Frosinone per allenarmi con gli allievi che ero ancora un ragazzino”. Aveva poco meno di 16 quando ha varcato per la prima volta i cancelli di Ferentino. “Mi ha voluto nonostante non avessi la deroga per giocare fuori regione, e infatti per i primi mesi non l’ho potuto fare, ma mi allenavo e basta”. E’ così che il Frosinone è diventata la sua seconda casa e la sua seconda famiglia. “Ho vissuto prima in un convitto a Ferentino, a due passi dal centro sportivo, e poi in un altra struttura in centro a Frosinone”. Oggi che è un giocatore della prima squadra a tutti gli effetti però ha preso casa da solo. “Sì ma fino a un certo punto – scherza – perché vivo nello stesso palazzo di Besea e praticamente siamo sempre insieme”.

In allenamento prova a rubare i trucchi del mestiere dai compagni più grandi di lui. “Dionisi e Ciofani sono due punti di riferimento per me. Ammetto di avere una grande fortuna con due attaccanti così bravi in squadra perché ogni giorno posso imparare qualcosa di nuovo e loro sono come fratelli maggiori. Non mi negano mai consigli, battute e scherzi continui”. Lo spogliatoio del Frosinone è una grande famiglia nella quale si ride e si sta insieme tutto il giorno. “Accanto a me in spogliatoio c’è Bardi, il nostro portiere. E devo dire che è una vera fortuna perché è un ragazzo alla mano, sempre di buon umore e non si tira mai indietro quando c’è da stemperare la tensione”.

Michele è un po’ il cucciolo del gruppo. “Mi prendono un po’ in giro per il mio taglio di capelli e in particolare per il ciuffo, ma non io non ho alcuna intenzione di tagliarlo”. Neanche in caso di gol, anche se quello resta sempre il suo obiettivo costante. “Segnare per un attaccante è la cosa più importante e per me sarebbe un sogno poterlo farle qui, al Benito Stirpe, il nostro stadio. E in particolare farlo sotto la curva Nord, quella dei nostri tifosi, quella dalla quale veniamo spinti durante ogni partita”.

Il Benito Stirpe è il nuovo stadio di proprietà del Frosinone, un piccolo gioiello inaugurato proprio in questa stagione. Uno stadio al quale sono legati ricordi molto importanti per Michele Volpe. “Ho fatto qui il mio esordio quest’anno. E l’ho fatto proprio nel giorno in cui è stato inaugurato, contro la Cremonese. Peraltro quella partita ho giocato anche molto bene, quindi posso dire che mi porta fortuna”. Quando si parla di giocar bene e di incantare però è inevitabile fare un salto nel tempo alla stazione 2015-16, ovvero quando per un pomeriggio il centro sportivo della Lazio è stato ai suoi piedi. Eccolo Formello. “In quella partita del campionato Primavera ho fatto una doppietta storica. Loro erano più forti ma noi abbiamo fatto  una partita strepitosa”. In quella stagione con Coppitelli, Michele Volpe è letteralmente esploso. Protagonista con la maglia del Frosinone al punto tale da conquistare anche le convocazioni in prima squadra. “Una stagione indimenticabile, ci girava tutto nel verso giusto ed io ero davvero in gran forma”. Forma che invece è costante quando si tratta di giocare alla Play Station. “Ora ci gioco molto meno, ma quando lo faccio scelgo sempre il Frosinone e mi metto in campo dall’inizio. Con i miei compagni Crivello e Paganini le sfide sono sempre molto agguerrite”. Mentre nel tempo libero ascolta musica hip hop. “E’ una passione che non condivido con i miei compagni perché mi rendo conto che è un genere di musica che non piace a tutti”.

Quello che invece piace sono i suoi colpi e le sue giocate. Aspettando il primo gol tra i professionisti. Magari contro il Foggia, unica squadra di questo campionato (oltre al Frosinone) a iniziare con la F, la lettera del destino di Michele Volpe.

Le auto, il pesto, i Mondiali: Ghiglione corre per salvare la Pro

Ne ha fatti di chilometri negli ultimi mesi Paolo Ghiglione. Voghera (casa sua), Ferrara(dove ha conquistato la promozione in serie A con la maglia della Spal), Jeonju (stadio della semifinale del mondiale Under 20 in Corea del Sud) e per finire Vercelli (dove oggi gioca con la maglia numero 18 della Pro). Ma le distanze per uno come lui non sono mai state un problema. “Ho fatto le giovanili nel Milan e ogni giorno i miei genitori mi portavano su e giù da Voghera a Milano per aiutarmi a coronare il mio sogno”. Poi è arrivata la maggiore età e quella strada ha iniziato a farla da solo. “La mia passione più grande è quella delle auto. Fin da quando ero bambino sono sempre stato ‘malato’ per tutto ciò che aveva un motore e quattro ruote”. E così non appena maggiorenne il primo obiettivo è stata la patente. “Ammetto – ridendo – che ho studiato più per l’esame di guida che per quello di maturità. Non vedevo l’ora di poter avere un’auto tutta mia da guidare”. Una passione che ha potuto coltivare anche a due passi da casa. “Non troppo lontano da dove vivo a Voghera c’è un piccolo circuito dove ho potuto anche provare Ferrari e Lamborghini”.

Oggi fa avanti e indietro (quasi tutte le settimane) tra Vercelli (dove si allena e gioca) e Voghera, dove mamma e papà lo aspettano. “Preferibilmente con un piatto di gnocchi al pesto che dopo la partita sono il mio pasto preferito”. Figlio unico, coccolato ma non per questo eccessivamente “mammone”: “qui a Vercelli mi piace avere la mia autonomia e stare con i miei compagni”.

Il punto di ritrovo è il Bijoux Caffè nel pieno centro di Vercelli. “Ci ritroviamo sempre qui prima o dopo l’allenamento. Per un toast, una premuta d’arancio e, soprattutto, una fetta della torta al cioccolato che qui fanno davvero ottima”. Al bar, infatti, proprio al tavolo accanto arrivano alla spicciolata Dario Bergamelli, Marco Firenze, Filippo Berra e Claudio Morra, compagni di squadra di Paolo che non appena lo vedono lo invitano subito per fare due battute insieme. Ecco che si scopre anche il tormentone dello spogliatoio. “A fine allenamento ci divertiamo a fare una sorta di piccola guerra con le palline di carta”, racconta Ghiglione. Il più preciso? “Lui”, ammettono in coro tutti i compagni indicando proprio Paolo. Si ride, si scherza e si diverte. In campo, nello spogliatoio, come al bar.

Ride meno, Paolo, mentre passeggia per le strade di Vercelli. “Qui mi trovo benissimo, ma ora sta arrivando un freddo tremendo e per me è un bel problema. Io ci sono abituato perché casa mia non è così lontana, ma non pensavo di accusarlo tanto”. Sempre con il sorriso, unito a un fisiologico pizzico di amarezza, racconta anche della sua avventura al Mondiale Under 20 dell’estate scorsa. “Vestire la maglia della Nazionale è sempre una gioia unica. Poi noi eravamo partiti per la Corea senza particolari aspettative, quindi arrivare a vincere la medaglia di bronzo è stato qualcosa di unico. Una cavalcata che non dimenticherò mai anche perché eravamo un gruppo bellissimo e ci siamo divertiti da morire. Abbiamo avuto la possibilità di confrontarci con i più forti giocatori della nostra generazione e anche di scoprire una cultura come quella coreana che è diametralmente opposta alla nostra anche dal punto di vista delle strutture calcistiche”.

Ha appena 20 anni Paolo Ghiglione, di chilometri ne ha già fatti tanti e tanti ancora ne dovrà fare per continuare a coronare il suo sogno. Una cosa è certa, grazie alla sua grande passione per le auto e per la guida, gli spostamenti non saranno mai un problema.

Dickmann dà i (suoi) numeri: B Marzio è a Novara

5, 7, 50. Terno secco sulla ruota di Novara. Vinto e giocato da Lorenzo Dickmann. Quinto di 5 figli maschi (per la gioia di mamma Marta). “Infatti lei sperava nella femmina. Ma per fortuna sono nato io”. Da 7 anni con la maglia del Novara tatuata addosso. “A 15 anni ho iniziato nel settore giovanile, partendo da trequartista per diventare un esterno alto e infine un quinto di centrocampo o esterno nella linea a 4. Quindi l’esordio in prima squadra”. E non è un caso se nello scorso campionato sia stato l’Under 20 con più minuti giocati in tutta la B e con più presenze tra i professionisti. E allora arriva il 50: uno dei 50 migliori giovani italiani nati dopo il 1 gennaio 1995.

A dirlo è stato il Guardian. “I 50 più pagati? Magari!”, scherza. “L’ho scoperto la mattina stessa, grazie a degli amici della mia ragazza, che mi hanno mostrato direttamente il giornale. E’ stato davvero emozionante”.

Ma oggi Lorenzo Dickmann è una realtà. Del Novara ma anche dell’Italia Under 21. “E’ sempre un orgoglio indossare la maglia azzurra. Per ora ho giocato solo un’ amichevole, ma non vedo l’ora di farlo ancora”. Nella sua vita ci sono ovviamente i fratelli che quando possono non si perdono una sola delle sue partite con il Novara, come mamma e papà che invece al Piola sono ospiti fissi.

Anche se sono più anziani sfidano il freddo ogni settimana e sono sempre sugli spalti per sostenermi”. E poi c’è Marta. “Siamo fidanzati da 4 anni. Ci siamo conosciuti al mare e non ci siamo lasciati più”. Una coppia davvero inseparabile, o quasi. “Anche se lei prova sempre al portare al cinema ma io proprio non ce la faccio”. Per Lorenzo meglio una passeggiata in centro con gli amici o al massimo una partita alla Playstation. “Preferisco un po’ di shopping, e se guardo la tv è solo per seguire il calcio”. A tavola gusti altrettanto chiari. “Il risotto alla milanese di mia mamma non si batte. Il top è mangiarlo di domenica sera dopo la partita”.

La Sardegna è lontana da Novara, ma il mare non ha raffreddato il suo grande rapporto di amicizia con Paolo Pancrazio Faragò. “Siamo stati compagni fino dal settore giovanile e anche quando lui è stato ceduto al Cagliari lo scorso gennaio non abbiamo mai smesso di restare in contatto”.

Dall’esultanza al selfie. BMarzio a fare da tramite e Lorenzo Dickmann del Novara è riuscito a conoscere Ghali, cantante del quale è fan e al quale si ispira anche per le sue esultanza dopo i gol. Aveva chiesto i biglietti di un suo concerto, e intanto è riuscito a incontrarlo negli studi televisivi di “Quelli che il calcio”: Ghali sul palco per esibirsi, Lorenzo nel pubblico come ospite. Immancabile la foto di rito nel backstage, rigorosamente in posa come nell’esultanza che li accomuna.